Tremate, le fiere son tornate: la benedizione di Miart 2021
Impossibile non parlarne. La ripartenza delle fiere in presenza è un evento di portata maggiore della fiera stessa, visto come sono stati gli ultimi mesi (in realtà, ormai gli ultimi anni).
Miart è il baluardo di questo ritorno alle contrattazioni, alle chiacchierate, ai giudizi, agli eventi: subito dopo la conclusione di uno scoppiettante Salone del Mobile, non poteva che essere Milano – sempre considerato come traino del sistema dell’arte contemporanea italiana – il contesto in cui ambientare questa fantomatica rinascita.
Questa edizione segna anche l’incoronazione di Nicola Ricciardi, direttamente dalle OGR di Torino, come nuovo direttore artistico, che già nel momento dell’annuncio di questa nuova nomina aveva espresso le sue volontà di consolidare la posizione della fiera milanese, ma al contempo adattarla alla situazione attuale, visto e considerato la situazioni che l’arte in primis, insieme a tutti noi, ha vissuto.
Le straniere sono poche, le italiane sono tante tra le 142 partecipanti. Un layout più arioso, un’organizzazione più pulita, pochi eventi ma i galleristi che sfoggiano la loro artiglieria pesante: ci si concentra sugli artisti più amati (spinta è la presenza dei grandi del XX secolo), anche con personali per approfondirne i percorsi.
Spuntano poi ovviamente anche progetti più spinti e meno commerciali, opere più ardite che rimangono impresse nella mente. Ma alla fine la domanda che tutti ci facciamo è: ne sentivamo la mancanza o ci siamo già stancati?
Pre-pandemia, il sistema fieristico dell’arte è stato più volte oggetto di critiche: ad oggi ci siamo resi conto che senza un po’ soffriamo, o rimaniamo nell’attesa di un cambiamento? Sicuramente possiamo a fermare che di base l’emergenza non ha apportato considerevoli cambiamenti e permangono le critiche sull’organizzazione, anzi si fortificano a posteriori delle riflessioni che gli eventi hanno suscitao sugli spazi, sugli incontri, insomma un po’ su tutto.
Miart potrebbe essere stata quindi l’inizio del ritorno a quello che è sempre stato, ma potrebbe anche diventare un campanello d’allarme di quello che dovrebbe cambiare.