“Se ti senti triste quando sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”
#MercoledìFilosofico #5
“Se ti senti triste quando sei solo, probabilmente sei in cattiva compagnia”
Nessun artista ha saputo trovare colori e forme per esprimere a immagini di solitudine meglio di Edward Hopper. Una definizione che circoscrive la sua produzione in modo forse limitante, ma dalla quale è difficile staccarsi nel momento in cui ci si trova di fronte a un suo quadro.
Quelle figure solitarie ritratte in interni, immerse nei loro pensieri, sono diventate la sua cifra distintiva; anche quando ne sono presenti più di una contemporaneamente tra loro vige una sorta di senso di estraneità
Le immagini sono quasi fotografiche o addirittura cinematografiche, ma al contempo intrinsecamente surreali, con un accenno di metafisico alla Giorgio de Chirico: le scene di vita quotidiana che ritrae sono come un fermo immagine avvolto in un denso silenzio, come se le persone coinvolte fossero rimaste intrappolate nell’azione che stavano svolgendo e non potessero fare altro che attendere.
Tuttavia Hopper stesso non era così felice di questo titolo di pittore della “solitudine”: il suo intento, a differenza dei contemporanei, era quello di trasportare su tela l’intimità, i risvolti psicologici, di coloro che stavano vivendo in un’era all’insegna del progresso e dell’ottimismo.
Nonostante sembri a tratti così evidente il disagio, l’inquietudine che vige nell’atmosfera, non potrebbe essere forse una mistificazione di momenti di calma, di riflessione, in cui l’interiorità viene messa a nudo?
Ognuno dei protagonisti di queste scene, si sente effettivamente triste nella sua solitudine a confermare l’affermazione di Jean Paul Sartre, o sta semplicemente vivendo un momento dedicato a se stesso? Su cosa sta riflettendo la donna di Automat, o in che pensieri si è persa la protagonista di Morning Sun? L’uomo in Pennsylvania Coal Town si sta solo dedicando ai mestieri di casa, o nel suo sguardo ci sarà di più?