“Per tutti i cambiamenti importanti dobbiamo intraprendere un salto nel buio”
#MercoledìFilosofico #21
Il buio è nero. È l’assenza di luce e di riferimenti, la mancanza di narrazione ed emozione. Esattamente ciò che si ritrova nei Black Paintings di Ad Reinhardt, in cui manca qualsivoglia riferimento all realtà, e tutta la rappresentazione ruota intorno al nero e niente più, al massimo nelle sue minime sfumature.
Reinhardt è considerato il padre di un’arte minimale, concettuale: un’arte della negazione, che nell’assenza di qualsiasi forma giunge alla più alta purezza, all’assoluto. È nel niente che si trova il modo e l’occasione di meditare, assegnando quell’attenzione e quel tempo necessari alla contemplazione.
Le opere esprimono perfettamente la sua concezione dell’arte, che deve essere se stessa e nient’altro: “non oggettiva, non rappresentativa , non figurativa, non immaginativa, non espressionista, non soggettiva”.
Sono i dipinti dell’invisibilità, non descrivibili e non riproducibili: così come nel buio la mancanza di luce porta all’assenza, lo stesso accade nei suoi Abstract Paintings. Eppure nel niente si ritrova il tutto, si nasconde la complessità dietro quelle superfici apparentemente monocrome.
È un viaggio percorso negli anni che indubbiamente prende spunto dal Quadrato nero ,di Kazimir Malevič, il “punto zero della pittura”, a sua volta regolare, compatto. Voleva essere la voce del Suprematismo, quel movimento che invocava la supremazia dell’arte nella sua essenzialità.
La non pittura per eccellenza è espressione quindi della assenza di luce per antonomasia?