Le mani di Saype
Guillaume Legros, francese, è annoverato tra gli artisti under 30 più influenti secondo Forbes.
Il suo nome d’arte è Saype, fusione delle parole say ( dire, raccontare) e peace (pace) e nasce come artista di graffiti nel 2012 evolvendo poi naturalmente verso la land art.
Convinto sostenitore dell’arte per la comunità e annoiato da quella dentro i musei, le sue opere sono disegni giganteschi realizzati su enormi prati e solo con materiali biodegradabili: i colori – bianco e nero – sono ottenuti rispettivamente dal gesso e dal carbone per un impatto ambientale pari a zero.
Saype è arrivato in Italia, a Torino per la precisione, grazie al progetto “Beyond the walls” (Oltre i muri) che lo vedrà impegnato fino al 2024. Il progetto, partito nel 2019, consiste nella realizzazione della più grande catena di mani – disegnate appunto – in giro per il mondo: prima della città piemontese, Saype ha “unito” Parigi, Ginevra, Andorra, Berlino e numerose altre città.
Le mani
Allegorie per eccellenza di aiuto e supporto, secondo l’artista francese le mani aiutano a capire sia le storie delle persone che dei luoghi e le sue si stringono l’una con l’altra.
“Un’opera che si fa capire, questo sì che mi tocca. Io sono più sensibile all’arte più antica, che è più figurativa, perché non c’è bisogno di grandi discorsi per capirla. Quando riusciamo a smuovere qualcosa con l’arte, con la mia arte, abbiamo vinto, l’obbiettivo è raggiunto.” – Saype a Domus Magazine
Immediatezza, quindi, è la parola d’ordine.
Non ci sono grandi giri di parole o di pensiero attorno alle opere di Saype ma solo ciò che si vede, è un’arte che non ha bisogno di spiegazioni o particolare sforzo per essere compresa.
Le mani sono opere “effimere”, nella maggior parte dei casi i parchi dove sono realizzate sono aperti al pubblico e le persone possono camminarci sopra, andando a pregiudicare la loro durata che comunque sottostà anche alle leggi della natura, come il meteo, la stagione o la crescita dell’erba.
Ed è giusto così: filosoficamente parlando come la vita finisce, così anche l’opera è destinata a scomparire, a conclusione del suo ciclo.