“La mente umana è paragonabile a una farfalla che assume il colore delle foglie sulle quali si posa. Si diventa ciò che si contempla.”
#MercoledìFilosofico #16
“La mente umana è paragonabile a una farfalla che assume il colore delle foglie sulle quali si posa.
Si diventa ciò che si contempla.”
Damien Hirst è il padre (contemporaneo) delle farfalle. Dei graziosi animali alati ha fatto infatti un passione, o un’ossessione: lui stesso li definisce come un universal trigger, sostenendo che tutti le amano. Della sua fissazione per la natura sono la più alta espressone, nel loro rappresentare la fragilità della vita, ma diventano anche mezzo per riflessioni più profonde.
Tornando e ritornando in differenti serie di opere nel corso degli anni, sono ovviamente stata oggetto anche di numerose polemiche, ma altro non ci saremmo aspettati dall’enfant terrible: nella prima retrospettiva a lui dedicata alla Tate Modern di Londra, “In and Out of Love” raccoglieva insieme centinaia e centinaia di farfalle, che (purtroppo) nel corso dell’evento andavano inevitabilmente a morire per poi essere sostituite. Questa ecatombe di circa 9 mila esemplari non aveva reso quindi molto felici le associazioni per la protezione degli animali.
In “The Souls”, la fascinazione nasce dal fatto che questi animali appaiono come vivi anche al momento della loro morte, per gli oggetti di luce che producono: diventano quindi mezzo di riflessione sulla mortalità ma anche sulla spiritualità, con un’aura di contemplazione che si sprigiona dai loro mille colori.
Caleidoscopici sono i pattern che si creano in “The Aspects”, così come in “Psalms”, con gli evidenti richiami alle vetrate tipicamente gotiche, quindi connesse alla religione cristiana più classica, ma anche ai mandala induisti e buddisti.
Le ali variopinte celebrano lo splendore della vita ma insieme sono un memento mori, che costantemente ricorda che questa vita e questa bellezza sono destinate a concludersi.