La baronessa col pennello: Tamara de Lempicka
La sua è una vita all’insegna di una continua scalata verso il successo, non tanto artistico quanto piuttosto mondano: Tamara de Lempicka è l’icona dei “Roaring Twenties” parigini, riesce a costruirsi un personaggio che diventa l’emblema di un’epoca.
Questa sua indole emerge già dalle sue informazioni biografiche: all’anagrafe Maria Gurwik-Górska, diceva di essere nata nel 1902 invece che nel 1898, ed è in dubbio se a Varsavia o a Mosca; sosteneva che il padre fosse scappato quando invece era morto suicida.
Da giovanissima, insieme alla nonna, fa i primi viaggi in Italia e in Francia per poi trasferirsi da una zia a San Pietroburgo: qui avviene il suo ingresso in società, tanto che conosce e sposa l’avvocato Tadeusz Łempicki (dopo averlo conquistato ad una festa a cui si era recata vestita da contadina, con tanto di oche vive al seguito).
A causa della militanza controrivoluzionaria del marito durante la rivoluzione russa, sono costretti a fuggire e rifugiarsi a Parigi: qui Tamara inizia concretamente la sua carriera artistica frequentando l’Académie de la Grande Chaumière e prendendo lezioni da Maurice Denis (esponente del gruppo post-impressionista Nabis) e André Lhote (cubista).
Partendo da queste basi, arriva a elaborare uno stile unico e personalissimo, che comunemente viene incluso sotto l’etichetta di Art Decò, ma che risente ampiamente delle influenze post-cubiste addolcite da sfumature neoclassiche: la sua presenza artistica viene ufficialmente riconosciuta nel 1922, con la sua partecipazione al Salon d’Automne.
“Cerco di vivere e creare in modo tale da imprimere, sia alla mia vita, sia alle mie opere, il marchio dei tempi moderni”. La sua ascesa è cominciata, ed è accompagnata da uno stile di vita intenso in cui vigono la spregiudicatezza, la trasgressione e l’indipendenza: è dichiaratamente bisessuale, viene lungamente corteggiata da D’Annunzio che sperava di annoverarla tra le sue amanti (ma la sua unica intenzione era quella di poterlo ritrarre), divorzia dal marito e si sposa con il barone Kuffner già da tempo suo amante e grazie al quale otterrà il titolo nobiliare a conferma della sua apparenza all’alta società tanto agognata.
I suoi soggetti favoriti sono le donne, Veneri moderne, ritratte come lontane e irraggiungibili ma insieme erotiche e provocatorie, immerse nei loro pensieri: sono tutte diverse le une dalle altre ma tutte hanno qualcosa in comune, ossia l’espressione della sua stessa essenza, in ognuna di esse c’è anche un parte di lei.
Sono dipinti equiparabili alle fotografie che si potevano quotidianamente vedere sui giornali di moda, con un incredibile attenzione ai dettagli: a livello stilistico, è evidente la sua innovazione rispetto alle correnti dominanti. I contorni sono precisi, le campiture piatte, i colori vividi, la luce e le ombre modellano corpi plastici al limite della deformazione.
Con l’avvento della Seconda Guerra Mondiale è costretta a trasferirsi con il secondo marito negli Stati Uniti: qui il suo successo viene confermato ancora una volta, ma ad esso si accompagna un cedimento fisico e psicologico. La depressione l’aveva sempre accompagnata, anche se ben celata dietro ai bagliori della mondanità, ma arriverà a cambiare anche la sua produzione: nel corso degli anni vira verso il surrealismo, verso i soggetti più religiosi fino a una svolta astrattista in cui sostituirà il pennello con la spatola.
Questi progressivi cambiamenti non saranno felicemente accolti dalla critica, e lei deciderà di non esporre più i suoi lavori: la sua vita si conclude in Messico nel 1980, dove si era trasferita qualche anno prima, con le sue ceneri cosparse sul vulcano Popocatépetl come da lei richiesto.
“Vivo la vita ai margini della società, e le regole della società normale non si applicano a coloro che vivono ai margini”: Tamara de Lempicka diventa il simbolo dell’emancipazione femminile novecentesca, il suo nome non viene ricondotto a quello dei mariti ma viene ricordata per la sua vita e la sua arte.