Il certificato di autenticità (COA)
Il certificato di autenticità, comunemente chiamato anche autentica, di una qualsiasi opera d’arte è quel documento che permette di definire l’identità di un’opera, in quanto dichiara esplicitamente che questa, raffigurante un certo soggetto, che risponde a un certo titolo e che possiede determinate caratteristiche, è stata effettivamente realizzata da quell’artista.
Quando un’opera viene venduta o in qualche altro modo ceduta da un proprietario a un altro, una certificazione di questo tipo dovrebbe sempre essere presente a garanzia della transazione stessa.
Nello specifico, si tratta di un documento con annessa riproduzione fotografica dell’opera in cui vengono riportate tutte le informazioni anagrafiche quali titolo, artista, data, dimensioni, tecnica che permettono di identificarla nell’immediato. Oltre a questi dati di base, ci possono essere riferimenti più specifici alla cornice, a timbri o etichette presenti sull’opera stessa che possono essere dettagli unici che permettono di riconoscerla nel caso di dubbi, ma possono essere anche presenti riferimenti a cataloghi ragionati in cui l’opera è presente, a pubblicazioni o articoli in cui è citata, ma anche a cataloghi di mostre in cui è stata esposta. Tutte queste sono quindi informazioni aggiuntive che mirano a fornire quanta più chiarezza e certezza possibile, cercando di eliminare qualsiasi tipo di ambiguità che possa sorgere in chi possiede l‘opera o è in procinto di acquistarla.
In casi particolari, qualora l’autentica provenga direttamente da fondazioni o archivi, alcuni di loro conservano una piccola parte dell’autentica strappata per creare un matching qualora le due parti del documento vengano riunite.
Fin qui, tutto sembrerebbe molto semplice e immediato, senza troppe difficoltà nella messa in pratica.
Il problema in realtà si pone non tanto nella creazione fisica del documento a livello di contenuti, quanto invece nella scelta del soggetto incaricato di realizzarlo.
Ovviamente nel momento in cui l’artista è in vita e si trova nella situazione di vendere la propria opera, direttamente o indirettamente tramite altri soggetti, il problema quasi scompare poiché sarà lui stesso a confermare l’autenticità dell’opera eliminando ogni dubbio grazie alla sua firma.
Ma cosa succede nel caso di un artista non sia più in vita? Chi dovrebbe essere incaricato allo svolgimento di questa azione? Dovrebbe essere un riferimento normativo a risolvere la questione, ed effettivamente questo esiste ma concretamente non è così utile.
Questo è ciò dice l’art. 64 del Codice dei Beni Culturali (D.lgs. 42/2004): “Chiunque esercita l’attività di vendita al pubblico, di esposizione a fini di commercio o di intermediazione finalizzata alla vendita di opere […] ha l’obbligo di consegnare all’acquirente la documentazione che ne attesti l’autenticità o almeno la probabile attribuzione e la provenienza delle opere medesime […]”.
Messo in chiaro l’obbligo di cui sopra, è evidente quale sia il succo del problema: chi è il soggetto autorizzato a redigere questa documentazione?
Può farlo sicuramente il venditore stesso, che sia un gallerista o chi per lui, ma chi può dirci che stia dichiarando nero su bianco il vero o il falso? Certamente nel secondo caso, se mai venisse scoperto, incorrerebbe lui stesso in qualche tipo di procedimento ma nel frattempo sarebbe l’acquirente a rimetterci.
Non esiste una sorta di istituzione il cui compito è autenticare opere di ogni genere e non è esplicitamente dichiarato chi sia autorizzato, quindi a questo punto emergono altri soggetti la cui credibilità dovrebbe essere più incontrovertibile: in primis gli eredi, seguiti dalle fondazioni o dagli archivi che si occupano degli interessi degli artisti non più in vita.
Un giudizio talvolta considerato attendibile è quello di specialisti, studiosi, esperti dell’artista in questione: anche in questo caso si tratta quasi di un atto di fiducia del fidarsi della persona giusta che sta dicendo la cosa giusta.
Nella poca trasparenza e chiarezza che circonda questo argomento, quello che è certo che l’acquirente deve sempre mettersi nella posizione di ottenere un qualche tipo di certificazione nel momento in cui acquista o riceve un’opera. Non è solo un discorso astratto di certezza sulla paternità, ma ha anche dei risvolti pratici che si riflettono sul valore economico: un’opera su cui sorgono dei dubbi a livello di autenticità perde indubbiamente di valore e può essere difficilmente rivendibile in un futuro.
Per concludere un discorso che già mostrava più ombre che luci, è necessario aggiungere che un ulteriore problema è dato dal fatto che il certificato di autenticità è tendenzialmente un documento cartaceo e di conseguenza è sempre soggetto al rischio di perdersi o sparire nel tempo, sia nel caso di vendite successive sia quando l’opera rimane sempre dello stesso proprietario.
La nota positiva è che qui invece c’è un margine di intervento: SpeakART punta a risolvere questo problema, offrendo ai proprietari delle opere una digitalizzazione dei certificati in loro possesso che poi grazie al software andranno a legarsi indissolubilmente all’opera. In questo modo, non solo riusciamo a eliminare il rischio di perdita dei documenti stessi e della conseguente perdita di valore dell’opera, ma anche garantiamo il legame tra certificati e opera. In questo caso il valore dell’opera non solo viene messo al sicuro, ma risulta così sicuro che può anche crescere.