Assenza-essenza. Uno scorcio sul mondo interiore di Serena Poletti

Con una laurea in Farmacia, Serena Poletti (Pordenone, 1986) decide di dedicarsi anima e corpo all’arte nel 2016 iscrivendosi al Triennio di Pittura dell’Accademia di Belle Arti di Venezia. Da sempre affascinata dalle filosofie e dalle arti cinesi e giapponesi, l’artista traduce questa innata inclinazione in opere essenziali ed incisive che spaziano tra la calligrafia, la scultura, gli acquerelli e le chine su carta.

L’indagine sul segno è il nucleo del suo lavoro che ha radici nella riflessione dell’arte come esperienza del Vuoto, discorso filosofico che si ritrova sia nell’oriente taoista che nella fisica moderna (in congiunzione con la Grecia antica).

La pratica artistica di Serena è un esercizio meticoloso di “meditazione su carta” nel quale l’arte è una delle vie di espressione per fare esperienza del “Tutto”. Una figurazione vibrante dove il reale si esprime in immagini astratte che condensano macrocosmo e microcosmo in un’unica intensa manifestazione.

 

At work with watercolor and ink on paper – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: Nel tuo percorso formativo l’arte non è arrivata subito. C’è stato qualcosa (un momento, un episodio, una circostanza) che ha fatto da discrimine? Cosa ti ha portato ad avvicinarti ad essa o ha fatto in modo che lei si avvicinasse a te?
Serena Poletti: È meno misterioso di quello che sembra!
In realtà, mi sono sempre sentita vicina all’arte. Da bambina amavo disegnare, modellavo persino piccole sculture in legno. Anche mio padre, che è medico, aveva l’abitudine di disegnare con le penne bic forme organiche nelle quali emergeva la sua lettura microbiologica della realtà.
Il fatto che non mi sia iscritta subito all’Accademia di Belle Arti, ma abbia optato per la facoltà di Farmacia è dipeso più da circostanze familiari che mi hanno spinto, in quel momento, verso un percorso più stabile.
Ciò non toglie che anche la scienza faccia parte di me. Direi proprio che arte e scienza rappresentano due poli della mia vita che si completano a vicenda. Aver studiato Farmacia mi ha permesso di raggiungere un’autonomia economica che ha influito sul modo di affrontare il percorso artistico con maggiore maturità.

 

Serena Poletti, “Emptiness”, “Organics” series, watercolor and ink on cotton paper, 100X70cm – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: Sei un’artista eclettica che si misura con differenti tecniche come l’incisione, l’acquerello e la china su carta, la calligrafia, la scultura. Esiste una tecnica tra queste che consideri maggiormente rappresentativa della tua espressione artistica? Se le dovessi descrivere, riesci a individuare elementi di indagine diversi oppure c’è un tratto che le accomuna?
Serena Poletti: Tutt’altro che facile eleggere una sola tecnica su tutte…Ad esempio, l’incisione mi ha dato la possibilità di giocare con il segno che, in fin dei conti, è la base del mio esprimermi. Nella pratica scultorea adoro sentire la consistenza della materia, inoltre l’idea di creare qualcosa di tridimensionale che possa veicolare nell’osservatore più livelli di esperienza, mi entusiasma non poco. Con il tempo, mi piacerebbe dedicarmi a una pittura più “installativa” che coinvolga anche elementi scultorei, ma è la carta il supporto che continua a soddisfarmi di più.
Tutto quello che faccio è, in realtà, espressione della medesima cosa ovvero della ricerca artistica sul Vuoto. Semplicemente il “fare arte” è scaturito da un unicum che si esprime visivamente in forme differenti.

 

Serena Poletti, selection of inks on paper from the “Organics” series – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: Nei tuoi lavori esiste una ricerca sul segno calligrafico alla quale, immagino, si accompagna una certa ritualità nel gesto. Dalla tua biografia spicca nel 2018 il workshop “Cleaning the house” del Marina Abramovic Institute. Se e in che modo questa esperienza è rientrata concretamente nella pratica del tuo lavoro?
Serena Poletti: Il workshop consisteva in quattro giornate all’isola di Serifos in Grecia durante le quali non si poteva parlare, leggere, né utilizzare dispositivi digitali. Era previsto il digiuno e, dopo la sveglia all’alba, come prima cosa ci si dedicava al risveglio del corpo con esercizi di stretching e yoga. Ogni giorno affrontavamo pratiche diverse (ognuna delle quali aveva regole differenti e andava eseguita con una specifica disciplina), le stesse che Marina Abramovic ha codificato negli anni, come la conta dei chicchi di riso e delle lenticchie, l’osservazione di un’altra persona negli occhi , slow walk etc.
Tali esercizi portano a fare esperienza di situazioni limite sia fisicamente che mentalmente che favoriscono il raggiungimento di un livello di autocoscienza che è il fine ultimo di tutte le arti rituali. Permettono alla coscienza di accordarsi armoniosamente con l’inconscio e di essere in grado inconsapevolmente di distaccarsi da sé stessi ed agire con istinto ed intuizione. Intuizione intesa come capacità di cogliere la totalità e l’individualità di tutte le cose.
In effetti, nella mia pratica artistica lo studio del segno richiede prima di tutto una forma di ricerca personale che questo workshop ha sicuramente aiutato a sviluppare dandomi ulteriori approcci di metodo.
Parallelamente, lo studio della calligrafia giapponese mi aiuta concretamente a trovare forme di concentrazione che permettono l’ interiorizzazione dei movimenti e favoriscono il fluire della produzione d’arte nel modo più spontaneo possibile.

 

Serena Poletti, “H20 +”, Indian ink on cotton paper and rice paper, 200x140cm, for the exhibition “The blue planet is painted in red”, Science Gallery, Ca’ Foscari University of Venice – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: L’attenzione verso il mondo sensibile e l’universo catalizzatore di riflessioni richiamano al Taoismo. Quale è il percorso che ti ha avvicinato a questa filosofia? Quali i risvolti nel tuo modo di esprimerti con l’arte?
Serena Poletti: In questo senso sono del tutto sicura che esistano degli archetipi che ci leghino a una filosofia piuttosto che a un’altra, per la quale si sente una speciale affinità. Io stessa mi sono sorpresa di aver individuato queste connessioni. Evidentemente mi stavo ponendo delle domande e ho trovato una possibile via di risposta.
Se si pensa alla concezione del Vuoto per i Taoisti e per la fisica moderna il legame è evidente: in entrambe si menziona un medesimo “spazio-momento” – il Vuoto – dove avvengono mutamenti e trasformazioni che riguardano sia l’universo che l’uomo stesso. In fin dei conti, si parla semplicemente di vita e di morte, quindi in realtà il Vuoto è il “Tutto”. Siamo noi. E’ un discorso circolare in cui il filo del discorso torna.
Durante il mio percorso ho poi scoperto che già Fabienne Verdier aveva affrontato queste tematiche. Verdier ha studiato calligrafia in Cina per moltissimi anni e ha collaborato con l’astrofisico vietnamita Trinh Xuan Thuan, autore de “La pienezza del vuoto”.
Credo che il background di ciascuno, in fondo, abbia poca importanza. Che tu sia artista, scienziato o matematico, l’interrogativo principale rimane lo stesso: quale è la vera natura del mondo che ci circonda? Fa parte dell’uomo spingersi nel voler conoscere la verità e sé stessi. Semplicemente, l’arte è una via per arrivarci, ma non è di certo l’unica. Non a caso si sono verificate collaborazioni tra artisti e scienziati ed è proprio questo uno degli aspetti che mi interesserebbe approfondire nel futuro con un progetto multidisciplinare.

 

Serena Poletti at work in Claudia Corò’s Giudecca Art Space (Venice) – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: Nella tua biografia appaiono alcuni luoghi che hanno avuto una forte influenza su di te come l’esperienza
in Grecia. In questa ipotetica lista come si pone Venezia, città dove hai scelto di vivere e lavorare?
Serena Poletti: Al momento Venezia è il mio mondo magico, un luogo in cui mi sento libera di creare. Amo in modo particolare la vicinanza con l’acqua che per me è basilare perché mi infonde uno stato di calma interiore.
Per natura sono un essere mutevole…nel senso che sento la necessità di trovarmi tanti rifugi diversi nel mondo per capire stimoli differenti.
Venezia non è di certo un punto di arrivo ma ora, al contrario del passato, preferisco prima crearmi lo spazio per un’occasione prima di decidere di spostarmi.
Tra l’altro mi ritengo fortunata ad avere, per così dire, un “oriente a due passi da casa”. A Padova risiede infatti il maestro Norio Nagayama la cui allieva Beatrice Testini è tra i pochi in Europa a possedere un’altissima padronanza dell’arte calligrafica,( IV Dan della Japan Educational calligraphy di Tokyo) per cui, quando il tempo me lo consente, prendo lezioni anche da loro.

 

Serena Poletti, calligraphic sign on paper cube, 10x10cm, 2021 – Courtesy of Serena Poletti

 

SpeakART: Vuoi renderci partecipi di un progetto a cui vorresti lavorare o al quale stai lavorando?
Serena Poletti: Al momento mi sto occupando di un progetto sul suolo che si lega alla strage degli ulivi in Puglia causata dalla diffusione del batterio Xylella che ha attaccato piante secolari, le quali hanno subìto un processo di sradicatura. L’idea è quella di sviluppare un’installazione scultorea in memoria di questi ulivi a partire dai calchi dei tronchi. Ad oggi sto facendo ricerca sui materiali: inizialmente pensavo di utilizzare dei fogli di metallo ma ho rilevato problematiche di reperibilità, dunque ora mi sto esercitando sulla carta.
Sono tante le idee per il futuro…il mondo del teatro (la scuola di Pina Bausch in particolare) è un ambito con il quale mi sarebbe sempre piaciuto misurarmi. Sarebbe bellissimo poter lavorare a una scenografia o a un’opera d’arte che entri in dialogo con la danza contemporanea.
L’indagine sul corpo è sicuramente un altro aspetto che calamita la mia attenzione da sempre. In passato ho svolto un workshop di danza Butō con la maestra Yumiko Yoshioka, una pratica che lavora soprattutto sulla risonanza del corpo. Sono anni che penso di spingermi anche nella direzione della performance art, ma quest’idea convive ancora con il timore di esporsi in prima persona. Al contrario di un’opera d’arte che permette, invece, di filtrare la tua presenza, nell’esperienza performativa ci si mette del tutto a nudo.
Credo che arriverà un momento nel quale mi sentirò davvero pronta. Ora è ancora troppo presto.