Intervista a Marinella Senatore
SpeakART: La multidisciplinarietà caratterizza la tua formazione tanto quanto le forme della tua pratica artistica: qual è il legame tra questi due aspetti?
Marinella Senatore: Ho studiato musica classica, direzione della fotografia cinematografica e arte contemporanea, dunque sono per indole un’artista multidisciplinare e sono sempre più numerose le discipline alle quali mi interesso; per me i linguaggi sono delle possibilità di coinvolgimento e di esperienza e ho la stessa curiosità di ogni altro partecipante ai miei progetti quando mi avvicino ad essi.
Le potenzialità infinite di combinazione mi entusiasmano
SpeakART: Pensi che ci siano delle forme di espressione, o ci siano state delle opere, con cui riesci a esprimerti al meglio?
Marinella Senatore: La partecipazione, sia come metodologia strutturale che come focus della mia ricerca è al centro della mia pratica. Quando ero più giovane pensavo fosse solo un modo di creare, invece era molto di più, era anche il campo di investigazione.
Sia quando lavoro con persone appartenenti a una stessa comunità realizzando azioni collettive urbane (in The School of Narrative Dance), sia quando fotografo o faccio un collage o un qualsiasi altro tipo di lavoro, il mio approccio è comunque riconducibile a quello che sta alla base dell’environment: incidere sulla percezione che ogni individuo ha di sé e della realtà, attivandolo attraverso la creazione di un “ambiente” energetico.
SpeakART: Come definiresti la tua concezione dell’arte?
Marinella Senatore: Io ho un grandissimo rispetto per il lavoro, e l’arte contemporanea è il mio: non a caso le strutture lavorative sono anche tra costellazioni della mia ricerca, e la possibilità di emanciparsi ed evolversi all’interno di strutture così codificate di aggregazione poi alla fine è diventato davvero un sistema sul quale ho lavorato con uno spiccato interesse verso il potenziale di fioritura del singolo.
Altra parola che mi piace molto associare all’arte è “utilità” e non comprendo come questo possa essere sminuente in termini di valore.
SpeakART: Rispondi a un ideale di artista attivatore di processi e costruttore di comunità: ci puoi spiegare l’importanza del concetto di relazione per te?
Marinella Senatore: Per me è molto importante fare e lavorare sulla partecipazione nella maniera in cui ho voluto da sempre e questa intuizione devo dire che non è cambiata con gli anni; ho imparato e imparo, migliorando probabilmente anche la realizzazione di tutte le parti del processo in particolare la restituzione finale, però in verità l’idea di di cedere qualcosa di se stessi a chi è disposto a fare altrettanto, che è stata sempre la mia sfida credo sia una cosa estremamente complicata, la più difficile ma a mio modo di vedere ineludibile.
Credo che la mia pratica abbia a che fare tantissimo con “l’energia”: un’energia che sgorga dal cortocircuito tra elementi differenti messi in dialogo in uno stesso spazio, reale o virtuale. Assumendo il ruolo di attivatore di un meccanismo (l’opera) , uno degli scopi è quello di produrre una forza trasformatrice dall’incontro degli elementi in essa inclusi; una forza che poi si propaga nella realtà circostante fino a raggiungere lo spettatore.
SpeakART: Come descriveresti il tuo ruolo di artista all’interno della società? Si può paragonare a una sorta di attivismo sociale?
Marinella Senatore: Pensare il lavoro dell’artista senza un ruolo sociale è per me impossibile e questo comprendo che possa non essere condiviso e soprattutto declinato in maniera molto diversa, ma per me è sostanziale.
Qualunque cosa mettiamo in circolo nel mondo ha delle premesse e conseguenze e io voglio farci i conti.
Ma estendo questa responsabilità a ogni lavoro e ad ogni agente sociale: questa è infatti la ragione primigenia per la quale pur non avendo tempo, cerco di insegnare comunque, almeno per qualche mese ogni anno.
Sono appena entrata nel corpo docente della fantastica TAAS (The Alternative Art School), fondata da Nato Thompson, al momento sono l’unica italiana, anzi l’unica europea, prendo molto seriamente questo tipo di incarichi, è una responsabilità politica per me insegnare.
SpeakART: E in questa visione, come ti relazioni con le istanze di empowerment al femminile?
Marinella Senatore: combatto fortemente tutte le asimmetrie sociali e nei contenuti di molte esperienze sono in contatto con temi di social justice di continuo: dunque tutto questo è una necessità oltre che un dovere.
Come donna e anche come cittadina del meridione ho esperito sulla mia pelle delle difficoltà ad entrare in diversi ambiti di lavoro e non se ne parla mai abbastanza; parimenti ho avuto la fortuna di conoscere tante persone di grande riferimento nel mondo dei lavoratori, da operai a insegnanti scoprendo situazioni di aggregazione nate all’interno delle fabbriche per esempio, o contesti dove emancipazione si otteneva utilizzando i linguaggi che poi mi sono adesso molto cari come la musica, la poesia, l’attivismo: queste sono state esperienze determinanti per me.
Pur mutuando alcuni elementi dall’attivismo, dal femminismo, dal political engagement, la mia pratica non sento di circoscriverla.
SpeakART: Che ruolo hanno i partecipanti delle tue opere, intesi sia come attori che come spettatori?
Marinella Senatore: Nel 2012 ho fondato The School of Narrative Dance, a seguito di Rosas il più grande progetto partecipativo mai realizzato, con oltre 20000 partecipanti di 3 paesi: Spagna, Gran Bretagna e Germania.
Avevo capito che serviva un “contenitore”, una sorta di ombrello sotto al quale poter definire una appartenenza; le conseguenze dei progetti, seppur non pilotate in alcun modo da me avevano a che fare anche con un livello di affezione importante ma rispondevano anche a delle istanze per le persone – e forse anche per me – molto urgenti, come quella appunto dell’appartenenza.
La didattica poi, mi ha sempre incuriosito, soprattutto la messa in discussione di molti sistemi verticali al suo interno, poco aderenti ai cambiamenti sociali e per il potenziale di empowerment, ad una fioritura dei singoli, alla capacità sovversiva di una persona vulnerabile di essere riletta e rivissuta in maniera completamente diversa – innanzitutto da sé stessa- e poi anche dagli altri.
A volte però bisogna “sottrarsi” per far si che accadano delle cose e la vigilanza sul proprio ruolo, che in qualunque momento può diventare abusive, è una cosa molto seria per me.
SpeakART: E l’ambiente o il contesto in cui queste si trovano o si realizzano?
Marinella Senatore: Mi interessano le stratificazioni di narrative diverse, e sicuramente non essere abusive innanzitutto nella relazione, ma nell’approccio allo spazio.
Si parla spesso di “environment” quando si descrive il mio lavoro e questa considerazione mi piace.
Quell’ “ambiente” per me non è però da intendersi soltanto come un luogo fisico reale (la strada, oppure la sala di un museo o di una galleria), ma anche quale luogo virtuale circoscritto dal frame fotografico o cinematografico, oppure dai margini di un semplice foglio di carta.
In questi “ambienti”, metto in rapporto ogni individuo con elementi inaspettati e spesso tra loro eterogenei, ma sempre universalmente riconoscibili, così da facilitarne la partecipazione all’energia da essi generata.
Le mie opere sono quindi site-specific e fluide: site-specific perché sono concepiti tenendo conto dell’“ambiente” specifico in cui si sviluppano; fluide perché basati su un’inclusione potenzialmente infinita degli elementi in gioco.
SpeakART: “We Rise by Lifting Others” è l’installazione che fino al 7 febbraio è stata ospitata da Palazzo Strozzi a Firenze, strettamente legata all’epoca che ci troviamo a vivere: com’è nata? Cosa hai voluto trasmettere, in un momento in cui ci si trova nell’impossibilità di fruire liberamente dell’arte?
Marinella Senatore: Lavoro dal 2014 con le luminarie: sono elementi parte di quella cultura popolare che tanta importanza ha nella mia pratica e la collaborazione con artigiani, compositori, coreografi, operai, attivisti è alla base di molte scelte anche estetiche.
Delle luminarie io cito solo alcuni aspetti, in particolare rosoni e portali che diventano ruote simili a mantra, dunque elementi catalizzatori di energia e sono sempre pensati come monumenti al presente, alle persone, al qui ed ora.
Nell’opera a Palazzo Strozzi mi interessava realizzare una installazione che fosse una architettura temporanea (che è l’aspetto che più mi interessa dell’architettura contemporanea in generale) e sociale, non un monumento ad una figura di potere storica, (in questo senso detesto il concetto di monumento), ma ad una idea di comunità, celebrativa sì, ma di una idea molto diversa.
I testi che vi includo partono da persone altre che attivano a loro volta persone: li riprendo dai miei archivi, possono essere parole che vedo sulle t-shirt di manifestanti in strada o condivise nelle esperienze partecipative che faccio non sono neanche dei motti che vogliono insegnare qualcosa a qualcuno sono semplicemente parole di persone date ad altre persone.
SpeakART: Grazie ai social network, le immagini della tua opera hanno fatto il giro del mondo, unendo virtualmente le persone: pensi che questi abbiano in qualche modo un’influenza o un’attinenza con il tuo lavoro?
Marinella Senatore: probabilmente ha una attinenza; sicuramente me ne servo per comunicare con migliaia di partecipanti dei progetti: per me ‘lasciare’ una comunità è altrettanto importante che entrarvi e bisogna avere molta cura.