La blockchain in parole semplici
Tutti ne parlano e pochi, in numero fortunatamente crescente, sanno e capiscono cos’è.
La descrizione che Wikipedia dà della blockchain è la seguente:
“La blockchain (letteralmente “catena di blocchi”) è una struttura dati condivisa e immutabile. È definita come un registro digitale le cui voci sono raggruppate in blocchi, concatenati in ordine cronologico, e la cui integrità è garantita dall’uso della crittografia…”
La comprensibilità della definizione non migliora andando avanti.
Cercheremo di usare un linguaggio ridotto all’osso ed esempi davvero semplici per proporvi una spiegazione comprensibile sebbene basilare.
Fingiamo che la blockchain sia un luogo fisico con una serie di casseforti poste una di seguito all’altra, e che queste casseforti non possano essere rimosse o mutate nel tempo.
In quelle casseforti possiamo chiudere un chilogrammo di prosciutto o la formula matematica della fusione nucleare… ma questo è affar nostro.
O forse è meglio dire affare dell’arte, nel nostro caso.
Spieghiamo meglio: se le informazioni salvate attraverso la blockchain, non hanno alcun legame con l’oggetto fisico al quale sono riferite, la blockchain funge da marca temporale per le informazioni contenute, ossia certifica che:
1. le informazioni xy sono state salvate
2. le informazioni xy saranno immodificabili nel tempo
3. le informazioni xy sono state salvate il tal giorno alla tal ora
Dunque tutto ciò risulta utile, ma non è la soluzione di tutti i mali.
Il vero segreto e valore della blockchain si esplicita quando esiste un legame univoco e certo tra informazioni salvate e oggetto alle quali sono riferite.
Qualora il legame tra informazioni ed oggetto non sia stato creato in modo univoco, quelle informazioni risultano non di certa appartenenza.
Facciamo un esempio pertinente con l’arte:
Un collezionista d’arte compra da un gallerista un quadro con autentica.
Il gallerista vende le opere ancora con “metodo analogico”, ossia con documentazione solo cartacea (vedi autentica).
Il collezionista però vuole un archivio digitale e dunque tramite uno dei tanti software in commercio, digitalizza tutte le informazioni ed i documenti cartacei dell’opera.
Li salva subito dopo in blockchain.
Ora, cos’è cambiato dal passato? POCO per non dire nulla.
Le preziose informazioni invece di essere cartacee sono digitali, sono state salvate in una cassaforte digitale e, sì è vero, quelle informazioni non cambieranno e saranno più fruibili forse, ma l’oggetto potrebbe essere sostituito, danneggiato, o potrebbe cambiare per i segni del tempo senza che nessuno se ne accorga.
Se il proprietario vendesse l’opera, proponendo le informazioni digitalizzate, avrebbe la stessa credibilità di un collezionista che vende con autentica cartacea… forse meno, soprattutto in Italia.
Dunque manca un passaggio alla base: un legame inscindibile tra oggetto e informazione digitale.
Il nome di questo legame si chiama impronta digitale dell’opera d’arte.
Se in blockchain si salva l’impronta digitale, si otterrà il risultato massimizzato: nessuno potrà falsificare l’opera, le informazioni verranno conservate e aggiornate in modo certo, i danni e il decadimento naturale saranno facili da individuare e monitorare.
Come? tramite una fotografia e SpeakART.
Con i brillanti la blockchain funziona, perchè? Perchè la blockchain registra facilmente le transazioni, e dunque si può risalire alla provenienza di una pietra, ma soprattutto perché sono marchiati e riconoscibili tramite un codice univoco, codice che crea il legame inscindibile tra oggetto ed informazione, digitale o cartacea.
SpeakART fa proprio questo, “marchia” digitalmente l’opera d’arte e il suo stato di conservazione, senza però toccare l’opera fisicamente.